Sette domande ai protagonisti del mondo del vino
La sesta edizione di “Modigliana - Stella dell’Appennino” è stata una grande festa. Vera celebrazione di un territorio, che si è messo nudo, come ha sempre fatto peraltro, coinvolgendo anche altre sottozone della DOC Romagna. Nessuna invidia, nessuna divisione, unire per crescere, condividere al fine di percorrere strade nuove nel solco della territorialità. Nel corso della manifestazione, precisamente domenica 11 settembre, si è svolta una degustazione che ha ripercorso trent’anni di storia del Sangiovese di Romagna ed ha coinvolto i vignaioli di Modigliana, ma anche produttori delle zone di Marzeno, Oriolo, Serra e Predappio. Modigliana al centro dell’evento, ma grande attenzione al prezioso mosaico territoriale romagnolo. Un mix di suoli e sottosuoli assolutamente da valorizzare.
Ecco gli amici di Stella dell’Appennino con la loro vera e leale unione stanno cambiando le regole del gioco. Mi spiego meglio: gli undici vignerons di Modigliana stanno costruendo un nuovo modo di comunicare e fare vino. Di questo ed altro abbiamo avuto la fortuna di parlare con Renzo Maria Morresi (in foto - freccia), titolare dell’azienda agricola La Casetta dei Frati, nonché presidente di Stella dell’Appennino.
Renzo è un navigato e carismatico avvocato, non gli manca di certo la parola, anzi, le sue piovono ficcanti e dettagliate, e ci tiene fin da subito a far sapere che a Modigliana non ci è arrivato come “business man” ma il suo cuore qui non ha mai smesso di battere: “Sono nato a Modigliana in provincia di Forlì-Cesena all’Ospedale dei Poveri di Cristo, dove è nata anche mia madre ma allora Modigliana era in provincia di Firenze”. Si perché Modigliana è stata Toscana per 530 anni, ed è divenuta Romagna nel 1923, saranno proprio 100 anni nell’aprile del 2023. “Mio nonno paterno - prosegue Renzo - era un contadino che praticava agricoltura di sussistenza su tre ettari mediante rotazione triennale: in una parte era seminato il grano, nella seconda mais, mentre la terza era riservata al foraggio. Esclusi dalla rotazione erano viti e ulivi. Insomma fin da piccolo ho seguito la mia famiglia per “andare alla terra”.
1 - Partiamo appunto da questa affermazione: “Andare alla terra”. Il tuo Renzo - abbiamo deciso fin da subito di darci del TU - è stato di fatto un ritorno alle origini?
“Esattamente. Le origini che non ho mai tradito. Anche quando sono stato all’estero mi sono sempre tagliato i capelli a Modigliana: sono mancato circa un anno ed ho tenuto il capello lungo pur di tagliarmi i capelli nella mia Modigliana. Ho avuto la fortuna di sposare Maria Adele nel 1978 - oggi sono 44 anni di matrimonio - anche lei nipote di contadini con grande amore per la terra e così nel 2005 abbiamo acquisito una azienda agricola: non è stato un punto di arrivo, ma una prosecuzione quasi naturale delle nostre origini. Il nonno non aveva terreni di proprietà perché era un mezzadro. Per noi è stato come riguadagnare qualcosa che abbiamo sempre sentito nostro”.
2- Oggi rappresenti con orgoglio e passione questo gruppo di vignaioli che hanno deciso di metterci faccia, dedizione, duro lavoro per porre in risalto una netta originalità territoriale. Unica nel suo genere. Ma quando nasce effettivamente l’associazione Stella dell’Appennino?
“Bisogna rovesciare il paradigma. Prima è nato il movimento. Ma andiamo per gradi. Mi sposo nel 1978, decidiamo poi di festeggiare uno dei primi anniversari di matrimonio a Brisighella in un ristorante della famiglia Raccagni ricavato totalmente in una grotta, una follia per l’epoca, davvero lo sarebbe pure oggi. Una famiglia di ristoratori legati al territorio, ma con grande visione, in grado al tempo di ottenere una stella Michelin. Una grotta scavata nel gesso, perché gran parte di Brisighella - altro comune sottozona di Romagna - è attraversata da vene di gesso incredibili. Ci affidiamo a Nerio Raccagni per celebrare nel migliore dei modi la nostra festa, ovviamente anche in chiave vino. Nerio, il titolare, considerate le mie origini insiste per servirmi un vino di Modigliana che mi dice essere meraviglioso. Penso ad uno scherzo, perché ho ancora in testa il vino modiglianese di mio nonno: cattivissimo, fatto con strumenti rudimentali, spesso acetato. Ma torniamo al vino di Nerio: si trattava di un Ronco dei Ciliegi di Castelluccio. Quello fu il mio primo approccio con un grande vino di Modigliana. Non un vino qualsiasi ma una pezzo di storia della viticoltura italiana e romagnola.”
3 - Ecco raccontaci meglio cosa ha rappresentato e cosa rappresenta ancora oggi la storia di Castelluccio.
“La nascita e la storia di questa azienda è parte della creatività messa in campo da Gian Vittorio Baldi - assieme al figlio Gian Matteo - nel corso della sua importante carriera, prima in campo cinematografico successivamente in campo vitivinicolo. Nel 1969 il regista e produttore di origine romagnole - lughese per la precisione - sposa l’attrice francese, Macha Méril, figlia di un nobile russo, agronomo e viticoltore. Il viaggio di nozze è una scoperta che folgora letteralmente Gian Vittorio: in Francia, nella zona di Bordeaux, assaggia i vini di Chateau Lafite-Rotschild e successivamente di Chateau D’Yquem. Vini che segneranno per sempre il suo destino. Gian Vittorio sogna un vino che sia prodotto culturale, possa essere un veicolo estetico per il territorio, un vino intellettuale, diverso, originale. Torna in Italia con le idee chiare alla ricerca di uno spicchio di terra dove creare il suo progetto. L’acquisto della terra avviene da parte della madre di Gian Vittorio, ma su indicazioni di quest’ultimo, in Romagna proprio nella zona di Modigliana, forse una delle zone allora paragonabili al punto zero dell’enologia italiana. Il concetto di creatività voleva essere al pari con l’identità territoriale. Negli anni ’70 Baldi su consiglio di Gianfranco Bolognesi, allora miglior sommelier d’Italia, va alla ricerca di Remigio Bordini per sviluppare e concretizzare queste idee: Bordini al tempo, era l’agronomo di Naldi a Tebano, azienda vitivinicola sperimentale dell’università di Bologna. Baldi, assieme a Bordini, andò a ricercare i cloni scartati per scarsa produttività e scelse proprio quelli. Perché se erano stati messi da parte, per motivi puramente produttivi, vi erano delle ottime ragioni per riconsiderarli. E così volle a tutti i costi creare appezzamenti che avessero un vero rapporto con il territorio introducendo il concetto di rispetto ambientale e morfologico: creò quattro cru - chiamati Ronchi (perché “roncati”, appezzamenti strappati al bosco con la roncola) - differenti, ovvero Ronco delle Ginestre, Ronco dei Ciliegi, Ronco Casone, Ronco del Re. I primi tre con tre cloni particolari di Sangiovese ad uno - Ronco del Re - piantato, su suggerimento di Remigio, a base Sauvignon Blanc. Da li in avanti le prime vendemmie, i primi successi, poi grandi traguardi: una storia unica per la Romagna, fino ai giorni nostri. I vini dei Ronchi di Castelluccio sono stati fin da subito simbolo di estrema qualità.”
Modigliana e le sue valli: Ibola, Tramazzo, Acerreta - foto mivini.info
4 - Ma torniamo a Stella dell’Appennino, o meglio al movimento che ha spinto questo gruppo di produttori, cosi uniti.
“Quando io e mia moglie rilevammo l’azienda della Casetta dei Frati, andammo da Remiglio Bordini per chiedere se la nostra acquisizione, quei terreni e qui vigneti, avessero potuto anche solo avvicinare i vini prodotti a Castelluccio. Questo per farti capire che già in tempi non sospetti vi era una collaborazione, ammirazione, deferenza, legata al territorio ed i suoi attori. Noi difronte a Remiglio Bordini, Gian Vittorio Baldi ed i loro collaboratori ci sentivamo molto, ma molto sotto. L’associazione ha costituito una naturale prosecuzione di questa collaborazione, ufficializzandola. Il meccanismo è scattato nel momento in cui Giorgio Melandri - importante figura della Guida Vini del Gambero Rosso, referente per le regioni Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Marche e Calabria – ha deciso di passare dall’altra parte per produrre vini propri, assistito da Francesco Bordini. La Casetta dei Frti è stata la prima azienda imbottigliatrice di Modigliana: la prima bottiglia risale al 1970. Quindi metti assieme Villa Papiano di Remigio e Francesco Bordini, il nuovo progetto “Mutiliana” di Giorgio Melandri, Luca Monduzzi dell’azienda “Il Teatro” che aveva condiviso assieme a Melandri alcune edizioni di Enologica e la prima azienda imbottigliatrice di Modigliana: ecco il primo nucleo. Fino ad arrivare ai giorni nostri. Siamo 11 produttori. Undici vignaioli che cercano di interpretare al meglio la sottozona Modigliana, ognuno a suo modo, ma tutti nel rispetto del territorio. L’augurio è che anche la cooperativa Agrintesa, che ci ha accompagnato in parte del percorso, possa ritornare al nostro fianco, perché se gran parte dei vigneti di Modigliana si è conservata lo si deve a quai vignaioli da sempre legati al mondo cooperativo. Speriamo davvero di trovare una sintesi positiva, per il territorio e la sua salvaguardia futura.”
5- Nel post precedente pubblicato sul wineblog qualche giorno addietro mi sono permesso di lodare il lavoro della sottozona con queste parole: a Modigliana non vi è nessuna gelosia, soltanto la voglia di mostrare peculiarità e trascinare assieme la Romagna, territorio che merita di essere raccontato e conosciuto per sfaccettature e diversità, ma anche grande senso di comunità. Modigliana può aprire davvero uno squarcio nel modo di comunicare il terroir, non solo di fare vino. Un perla di Romagna, in tutto il suo splendore. Cosa ne pensi?
“Il percorso che abbiamo condiviso fino ad oggi è un qualcosa di obbligato ai fini della sopravvivenza, ma anche di grande nobiltà. Dobbiamo fare il nostro percorso come se fossimo sulla luna. Il nostro areale di confronto non è solo la Romagna ma è il mondo. Il Cile, il Sudafrica, l’Australia, il Nord America, e tutte le altre regioni d’Italia. Walter Speller che abbiamo coinvolto per guidare questa masterclass ha insistito per un discorso territoriale: quando un pezzo del suo calibro ha lanciato questa indicazione abbiamo deciso di seguirlo fin dal principio. Vi era anche una altra idea ovvero quella di invitare altri territori al banco di degustazione perché il Sangiovese si trova in molte altre regioni ed anche quello poteva essere un discorso interessante, non per una sfida, ma per valorizzarne e coglierne le sfaccettature. Ti ringrazio per questo grandissimo complimento. Speriamo davvero di aver mosso qualcosa. Anche a Brisighella sta nascendo un movimento. Noi siamo per la massima apertura. Oggi il dialogo è fra noi e singoli viticoltori romagnoli che condividono il nostro modo di operare e si sentono legati al nostra maniera di immaginare il territorio. Non vogliamo portare via nulla ai nostri competitor. In Romagna sono prodotte 6 milioni di bottiglie di Sangiovese: solo 400mila rivendicano la sottozona di produzione. Di queste 80mila sono commercializzate mediante l’utilizzo della sottozona Modigliana. Una nicchia”.
6 - Ora concedimi questa breve considerazione. Partecipando alla manifestazione sono colpito dalla qualità media e dalla grande territorialità espressa del Sangiovese; in tutti vi è grande fascino, sentori tipici, salinità e grande capacità di invecchiamento. In un vino bianco questo - a mio modesto parere - è emerso ancora in maniera più marcata tant’è che mi sento di consegnare al Trebbiano il ruolo di “transponder del sottosuolo” di Modigliana.
“Hai detto bene. Ed in parte hai sintetizzato un discorso che noi sosteniamo con forza. Modigliana con buona parte degli autoctoni, ma non solo, è un grande territorio per fare vino. La differenza è sottile ma allo stesso tempo importante da sottolineare. Non è esclusivamente un grande territorio per produrre (soltanto) vini rossi o (soltanto) vini bianchi. Parliamo un attimo con le dovute proporzioni e distinzioni della regione Champagne: non è un fantastico territorio per produrre solo uve a bacca nera (Pinot Noir e Pinot Meunier, tradizionalmente vinificati in bianco) o solo uve a bacca bianca (Chardonnay). E’ un grande territorio per la produzione di uva e conseguentemente vino. Punto. La bontà del terroir non è determinata soltanto dal colore delle uve. Dobbiamo essere ancora più bravi a comunicare anche questo”.
7- Per finire cosa ci dobbiamo aspettare alla prossima edizione, nel 2023?
“Stiamo già programmando. Abbiamo più di un progetto. La cosa che posso dirti è che grazie alla recente modifica del disciplinare della DOC Romagna il primo settembre 2023 uscirà la prima bottiglia di Romagna Bianco Modigliana DOC, quello che noi chiamiamo Modigliana Bianco. Un lavoro che ci è costato una decina di anni di fatiche. Per il momento la produzione di “Romagna” Bianco Modigliana è riservata ai vini derivanti da uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, una composizione ampelografica piuttosto rigida: Trebbiano (minimo 60%) e, per la parte restante (massimo 40%), Chardonnay e Sauvignon bianco, da soli o congiuntamente. Non è proprio quello che ci si aspettava ma di sicuro rappresenta un passo avanti. Speriamo che in futuro si possano avere vini bianchi con sottozona Modigliana anche a base Albana (oggi esclusa dal disciplinare) o anche Modigliana Bianco a base monovitigni diversi dal Trebbiano, come Chardonnay e Sauvignon, varietà da lungo tempo presenti in zona. In qualche modo, credo che nella settima edizione di Stella, il secondo fine settimana di settembre 2023, ne parleremo: a voce e coi fatti, nei calici. Vedremo insieme, perché ti aspetto anche l’anno prossimo! E ti ringrazio di cuore per tutta questa attenzione alla nostra microzona e alla Romagna delle sottozone, uno splendido mazzo di fiori diversi.”
Michele Zomer
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