Tristezza e orgoglio sono i sentimenti principali che ho provato ripercorrendo questo percorso a tappe fatto di uomini, lavoro e amore per la terra. Un insieme di avvenimenti che inizia nel 2009 quando un gruppo di vignaioli trentini giunge a conoscenza - grazie alla segnalazione di Francesco Penner, preparato e appassionato tecnico della Fondazione E.Mach – che un antico vigneto di Lambrusco a foglia frastagliata di età pre-fillosserica rischia di essere espiantato: il tutto dopo la scomparsa del suo custode di un tempo, il signor Narciso, per tutti “Ciso”, che gestiva il terreno in affitto. Un vigneto secolare situato nella frazione di Mama d’Avio, ai confini col vicino Veneto, capace di vincere le avversità temporali grazie alle poderose radici ancorate nelle sabbie alluvionali del fondovalle, un tempo antico letto del fiume Adige.
La discesa in campo unitaria di questi vignaioli avviene in un frangente complicato per la viticoltura trentina, sia da un punto di vista economico sia per una palpabile mancanza di solidarietà fra produttori. Questi vignaioli dunque si uniscono per non rimanere soli e inascoltati: con l’intento di fare gruppo per la solidarietà l’uno nei confronti dell’altro. Un’etica che va ben al di là dell’aspetto economico e produttivo. Un confronto solidaristico in campo professionale su temiagronomici, enologici e perché no anche comunicativi.
Fonte foto: idolomitici.com
L’affiliazione formata dagli undici produttori per pura coincidenza si sviluppa quasi nello stesso periodo e dunque questa equipe si sente in dovere di tutelare quei 727 ceppi a piede franco di Enantio o Lambrusco a foglia frastagliata, custoditi con grande sentimento dal signor Narciso. In primis per evitare che quel museo vivente a cielo aperto divegna l’ennesimo appezzamento privato della sua identità a favore del più redditizio Pinot Grigio. In pochi si interessano della questione. In ancora meno si danno da fare per cercare di preservare quel patrimonio varietale e genetico. Nessuno sembra avere l’intenzione di fare sul serio, nessuno tranne loro “i Dolomitici”.
Convincono il proprietario alla cessione in affitto a loro favore e nel 2010 si realizza la prima vendemmia di “Ciso” – etichetta successivamente passata a “Perciso” - da cui si ottengono nel dettaglio 3000 bottiglie e 150 magnum. Mettono anima, passione, idee, competenze, strumenti a disposizione di questo antico vitigno. Guidati da una mission: valorizzare l’originalità e la diversità della viticoltura trentina nel rispetto di un’etica produttiva condivisa.
Nel corso di questa avventura il vigneto è migliorato e coccolato, come dimostrano le immagini seguenti relative alla realizzazione per la successiva sostituzione dei pali di sostegno. Pali di acacia trattati come un tempo per garantire una continuità in linea con le origini. Vengono sviluppati progetti come quello “viti da seme” al fianco dei ricercatori di Agercoop. E successivamente il vigneto fa spazio anche ad alcune varietà di ortaggi, proprio come un tempo.
Fonte foto: idolomitici.com - realizzazione pali in acacia per il vigneto Ciso
Nel 2012 a Castel Noarna, quartier generale dell’omonima azienda agricola facente parte del gruppo, si tiene la presentazione ufficiale del “Ciso” e da li in avanti quel momento, la festa annuale de “i Dolomitici”, è in suo onore. Il nome del vino come ripetuto più volte finora è Ciso, simbolo di sapienza contadina, capacità di ascolto della terra, accudienza e rispetto.
L’importante progetto di valorizzazione prosegue, sostenuto da questi vignaioli virtuosi, entusiasti, vogliosi di investire tempo, dedizione e risorse al fine anche di portare all’attenzione di critica, appassionati e addetti ai lavori un vitigno e il suo territorio, il Trentino, la Vallagarina, Avio. Una valorizzazione sistemica innovativa, fatta di unione, passione, condivisione e amore per il proprio lavoro.
Si tenga conto che in queste terre negli anni ’50 Lambrusco a foglia frastagliata e Lambrusco a foglia tonda, quest’ultimo conosciuto anche come Casetta, rappresentavano ben il 61,5% della produzione viticola dei comuni di Ala e Avio e oltre il 15% della produzione della provincia (dati “indirizzo viticolo per la Provincia di Trento” - anno 1954), salvo negli anni a venire cedere vertiginosamente spazio a varietà internazionali. Scelte che hanno quasi dilapidato il patrimonio ampelografico originale legato, un tempo, indissolubilmente al territorio. Questo inciso per sottolineare ancora maggiormente l’importanza del progetto avviato nel 2009 dal gruppo di produttori trentini. L’Enantio in questi ultimi anni ha perso quota: il diamante non ha ceduto smalto, è rimasto una pietra preziosa, unica, con radici profonde, sia per storia che genesi. Dal 12,6% della superficie vitata della provincia nel 1980, rimane un misero 0,3% dei giorni nostri. Nel Comune di Ala – confinante con Avio - dati alla mano, rimangono poco più di 5 ettari, tra l’altro conferiti con ogni probabilità come uva da taglio. In totale gli ettari - dati Provincia Autonoma di Trento 2018 - del territorio provinciale piantati ad enantio sono 29.
Dopo aver portato il “Ciso” e quindi l’enantio sotto la luce dei riflettori, con fatica, ma grande orgoglio, il progetto si ferma, totalmente. Dopo aver ridato valore a quel pezzo di terra, alle sue uve, alla sua storia e al territorio, il proprietario del vigneto decide – legittimamente – di sposare un nuovo progetto proposto da una realtà cooperativa e quindi il lavoro dei vignaioli giunge al capolinea fra sconcerto e rammarico.
L'attività di valorizzazione e cura del vigneto ora continuerà con nuove prospettive ma sotto altro marchio.
I vignaioli hanno preservato, valorizzato, esportato cultura e tradizioni: il loro prezioso lavoro è stato riconosciuto, ma soltanto in parte, visto l’epilogo. Ora che il vigneto e le sue uve sono state valorizzate appieno, è divenuto un pezzo pregiato. Allettante.
Questo scritto – per totale chiarezza – non vuole assolutamente essere un processo alle intenzioni del proprietario del terreno, di chi si occuperà della gestione del vigneto e della lavorazione delle uve. No, assolutamente. Vuole soltanto porre l’accento su un’etica di produzione e conservazione, dalla radice al calice.
Per correttezza di informazione vi sono altri vignaioli nel Basso Trentino che hanno davvero a cuore questo vitigno, mi riferisco a Filippo Scienza di Vallarom, Lorenzo Bongiovanni dell’omonima azienda agricola. Anche la famiglia Frapporti (Vignali Varas, ndr) ad Isera sta lavorando in ottica futura per la valorizzazione di Enantio e Casetta per uscire con una etichetta dedicata. E non solo loro, al loro fianco anche realtà cooperative e qualche nuova azienda, il riferimento a Sajni Fasanotti di Mori. Qualcuno anche oltre il confine provinciale: grandissimi gli sforzi di Roeno, La Prebenda ed altri. Menzione speciale anche per chi coltiva e produce lambrusco a foglia tonda: la Cadalora in Trentino, nel Comune di Ala, e Albino Armani, a Dolcè, entrambi legatissimi a questa varietà. Qualcuno dunque continua a credere nel territorio e in questi antichi vitigni.
Da grande appassionato, romantico, amante delle origini e delle tradizioni del territorio vorrei tanto che il lavoro de “i Dolomitici” non passasse inosservato.
Hanno fatto ciò che nessuno ha mai fatto in Bassa Vallagarina, forse in Trentino: fare rete, fra produttori, per la valorizzazione del territorio. Tenete ben saldo nella mente che nessuno dei vignaioli in questione proviene dal comune di Avio. E’ la netta dimostrazione di un amore incondizionato verso il Trentino, tutto, da Avio a Mezzocorona, transitando per ogni vallata ed ogni frazione, da est a ovest, dal Teroldego alla Schiava, passando per la Nosiola. E’ un esempio di come la protezione e la promozione delle origini sia fattibile solo attraverso una rete, fatta di condivisione, valori ed una mission compartecipata, chiara, limpida.
Hanno esaltato un valore che spesso non viene associato al singolo vignaiolo: l’importanza della cooperazione. Cooperare al fine di proteggere, creare nuovo sviluppo. Hanno messo - davvero - il bene di tutti prima del loro.
Di questo ne abbiamo parlato brevemente con Alessandro Fanti, presidente de “i Dolomitici”: Avere lavorato e continuare a lavorare assieme ci ha fatto crescere molto sotto tanti aspetti. Ci ha sicuramente reso più forti e consapevoli, ma anche più coraggiosi per affrontare nuove sfide, come la salvaguardia del vigneto in questione. Abbiamo dispensato tante energie a favore di questo progetto: un proposito che ci ha appassionato e unito fin dal primo istante. Ora abbiamo voglia di guardare avanti, senza disperdere ciò che abbiamo fatto e ci ha reso orgogliosi. Progetti futuri? Abbiamo ancora voglia di condividere idee e prospettive, ma c’è bisogno di potersi vedere di persona, guardarsi negli occhi, cosa che oggi possiamo fare con restrizione per via della situazione legata alla pandemia. Non vogliamo essere etichettati solo per la salvaguardia di un vigneto storico: siamo nati per i motivi che hai citato sopra: il progetto “Ciso” rappresenta una parte di noi. La cosa che mi auguro di cuore, dico davvero, è che il progetto di salvaguardia e valorizzazione del vigneto possa continuare anche sotto la guida di altri attori. Abbiamo tanto bisogno di cooperazione, ma una cooperazione vera, capace di valorizzare e non uniformare gli intenti. Nuova annata del Ciso in commercio? A breve uscirà la versione 2015 e ci auguriamo sia un vino che faccia parlare di territorio, unione, coesione, storia”.
Infine vorrei concludere questo scritto condividendo un bellissimo video realizzato da winestories.it in occasione della prima uscita del Ciso a Castel Noarna il 5 giugno 2012 riportando le battute pronunciate dagli undici vignaioli coinvolti nel progetto. Per dare voce ad ognuno di loro.
Video realizzato da winestories.it
1 - “Il Ciso è l’espressione di un autentico vino e vitigno del Trentino. Un vino da vigneto secolare”
Alessandro Poli - Azienda Agricola Francesco Poli
2 - “E’ un operazione alla Wwf: abbiamo salvato un pezzo di patrimonio biologico della viticoltura trentina. Ne è nato un vino comunitario, un vino non interventista”
Marco Zani - Castel Noarna
3 - “Il lambrusco a foglia frastagliata è il vero vitigno autoctono trentino”
Luigi Spagnoli – Vilar
4 – “Ciso piace perché è un vino semplice: farà molto successo”
Giuseppe Pedrotti - Azienda Agricola Gino Pedrotti
5 - “Ciso non significa solo proteggere una varietà, ma rappresenta una meditazione di gruppo. E’ un etichetta che parla del Trentino, quello vero, più profondo”
Elisabetta Foradori - Agricola Foradori
6 -“Non è una cosa che abbiamo scelto, ma una opportunità che abbiamo colto assieme”
Elisabetta Dalzocchio - Cantina Dalzocchio
7 -“Mi sono divertita nella potatura, nella vendemmia, ma soprattutto nel salire una scala altissima sul tino di fermentazione dove abbiamo posato per una bellissima foto di gruppo”
Emma Clauser - Molino dei Lessi
8 - “Condividere la fatica oltre che il risultato finale è stato bellissimo: Ciso è un vino schietto autentico del territorio”.
Marco Zanoni - Maso Furli
9 - “Un vino non banale dai grandi contenuti. E’ il risultato di 11 aziende trentine che hanno condiviso questo progetto”.
Lorenzo Cesconi - Azienda Agricola Cesconi
10 - “Un vino vinificato e prima ancora lavorato in vigneto come dettano le regole del buon contadino. Perché sia espressione della terra, di una fetta di Trentino”.
Alessandro Fanti - Fanti Vignaiolo
11 - “E’ stato un ritorno al lambrusco: in precedenza ne ho vinificati tanti quintali senza però mai arrivare a un risultato di questo tipo”.
Eugenio Rosi - Rosi Eugenio Società Agricola
Quanto fatto non deve andare perduto. Il mercato non può e non deve imporre le sorti di un territorio, o meglio il mercato deve essere ascoltato, con attenzione, ma anche educato, sensibilizzato. Il mercato e le sue logiche non possono cancellare le origini: è uno degli errori peggiori che si possano commettere. Pensiamo solo al turismo: un visitatore va matto per le tradizioni e le peculiarità di un territorio, non si capisce perché nel mondo del vino Trentino questo debba funzionare - per gran parte, non è il caso dei protagonisti di questa storia - al contrario.
L’augurio è quello che il Ciso possa rimanere l’emblema del “Trentino da presevare” da cui tratte insegnamento. Un vino da raccontare, fino in fondo. Fino all’ultima bottiglia, fino all’ultima goccia di cultura, assolutamente da tramandare. Che rappresenti un bagliore di coraggio per le future generazioni affinché possano spendersi in maniera libera nella tutela della terra.
Grazie “i Dolomitici”. Grazie davvero
DEGUSTAZIONE
PERCISO 2014
Vigneti delle Dolomiti - Lambrusco a Foglia Frastagliata
(12,5% V.alc)
Rubino di media fittezza. Sprigiona una trama olfattiva ricca: in prima battuta colpisce il tratto vegetale, burbero e immediato, quasi ad attestare la parentela genetica con viti di origine selvatica. Seguono sentori di bacca di ginepro e marasca accompagnati da una spezia che ricorda il chiodo di garofano. L'acidità è palpitante, il tannino è presente, ma non invadente. La beva è assai piacevole. E' qualcosa di particolare, fuori dagli schemi, quasi a ricordare l'estremo legame col territorio. L'affinamento in botti di grandi dimensioni e barrique ne avvalora la struttura, senza però renderlo pesante. La resa è decisamente di qualità: 45 q/h, ciò che è in vigna è anche nel calice. Dopo 7 anni dalla vendemmia è un vino assolutamente nel pieno della sua gioventù: sarebbe interessante provare lo stesso vino con qualche anno in più sulle spalle. Chiude il sorso un ricordo balsamico di grande freschezza e una scia pepata. Piacevolissimo. Mi sarebbe piaciuto accostare questo calice di Ciso ad un petto d'anatra croccante su letto di legumi.
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