“Questo è un terroir unico”, “questo calice denota il forte condizionamento del terroir”, “classico vino di terroir”, sono solo alcune delle affermazioni con le quali - a volte in maniera semplicistica - viene tirata in ballo la rappresentazione di terroir. Spesso e volentieri questo termine è ricondotto esclusivamente alle caratteristiche del territorio, inteso come l’insieme delle peculiarità ambientali, in particolar modo suolo, clima, esposizione. In realtà il concetto di terroir è ben più ampio di uno spicchio di territorio. E’ l’insieme di più caratteristiche che tendono a renderlo unico quel territorio, non solo in modo edonistico. Non sfruttato solo per spinte campagne di marketing oppure per la realizzazione di fiabesche retro etichette. Oltre alle caratteristiche climatiche e ambientali vi è da considerare altro: la tradizione vitivinicola, la mano dell’uomo, fondamentale per il reale sviluppo del concetto di terroir.
Ma cosa identifica scientificamente la parola terrior?
Prima di addentrarci in questo ambito, piuttosto complicato peraltro, è necessario conoscere le origini del termine. L’etimologia deriva con ogni probabilità dall’appellativo di origine gallo-romanico territorium che ha dati i natali alla parola francese terriroire, ovvero territorio. Dalla fine del 1600 invece “terroir” indica la terra considerata dal punto di vista delle proprie attitudini agricole. Ma oggi, dopo una serie di studi per l’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) il “terroir” in ambito vitivinicolo è un concetto che si riferisce ad uno spazio nel quale si sviluppa un sapere collettivo delle interazioni tra un ambiente fisico e biologico identificabile e le pratiche vitivinicole applicate, che conferiscono caratteristiche distintive ai prodotti originari di questo spazio. Il “terroir” comprende le caratteristiche specifiche del terreno, la topografia, il clima, il paesaggio e la biodiversità. Il terroir è quindi un sistema complesso, costituito da una catena di fattori (ambientali - suolo, clima ed esposizione geografica - cultivar, tradizione e fattori umani) fino al prodotto finale.
Una nozione ben più ampia e approfondita del semplice accostamento calice-territorio utilizzato in massa.
Il concetto di terroir si sta affermando in ogni parte della terra anche come strumento di promozione commerciale, atto alla valorizzazione della qualità e tipicità della produzione viticola ed enologica. Spesso però abbiamo riscontrato vini, controllati in toto da figure dedite al marketing con i vigneron in secondo piano, ricondotti soltanto a pura icona. Il professor Attilio Scienza, attraverso le pagine del volume "I Terroir del Sangiovese in Toscana" edito da Fondazione Banfi ha sentenziato: "In molti casi l’immagine ha avuto la meglio sulla sostanza, si è cercato di creare una aspettativa pressoché magica di godimento e piacere con grande dispendio di effetti speciali, poi al momento della verità, quello dell’incontro tra il tanto decantato vino e le papille del consumatore, quest’ultimo si è trovato spesso a registrare uno scarto significativo tra le aspettative indotte ed il suo concreto vissuto, sia sensoriale che emotivo". Questo parlando in generale dell'utilizzo del termine terroir in chiave promozionale.
Amo ricalcare il concetto di terrior attraverso le parole di Aubert de Villaine, co-proprietario di Romanèe Contì. Intervenuto nel 2019 in un convengo tenutosi in Val d’Orcia il vigneron di Borgogna ha espresso minuziosamente la sua rappresentazione: “Quella di terroir è un’idea che non può esistere, non può vivere e non può durare - ha raccontato a WineNews.it - senza un vero e proprio matrimonio tra l’uomo e la natura: l’agricoltore non vuole che la terra perda la sua ricchezza, ma la sfrutta, come si dice in Francia, come un buon padre di famiglia, perché se non lo fa e non la rispetta la perderà. Se l’uomo non è in grado di ascoltare, comprendere e rispettare il potenziale che è disposto ad offrirgli il territorio, questo non diventerà mai terroir. Bisogna sempre tenere presente, però, il tipo di valori che raccoglie un terroir, e non parlo dei valori economici, o patrimoniali, che qualcuno mette in evidenza, e che sono misurabili, quelli di cui parlo io sono valori diversi, il valore culturale ed umano, che si sviluppano al fianco dei risultati economici, ma che non sono quantificabili”. E ancora ha chiosato: “Non è facile, ma è possibile valutare il valore degli effetti della combinazione delle condizioni naturali, del know how, delle conoscenze e, soprattutto, della capacità degli uomini di lavorare riproducendo la stessa attività, sullo stesso territorio, evolvendo ma restando nei confini stretti della tradizione, una tradizione che va conservata, in maniera sostenibile”. In queste righe mi ritrovo nel concetto di terrior, lontano da calici che sanno soltanto di marketing, slegati totalmente della tradizione, dal rispetto del territorio e della sua storia”.
(Vigneti di Verdicchio nel cuore della denominazione "Castelli di Jesi" - foto: mivini.info)
Questo è terroir, non altro. Non mistificazione della tradizione e sotterramento delle origini. Difficilmente replicabile, ma questo è terrior. Il concetto di terroir - a mio modesto parere - si allontana dal concetto di vitigno bordolese ovunque, in ogni luogo, in ogni dove. L’enologo che riproduce ovunque il modello bordolese, perché conosce solo quello e che trasforma tante viticolture europee e del resto del mondo in periferie secondarie di Bordeaux, è solo un esempio. Badate bene, in alcuni posti vitigni di genesi bordolese generano poesia, ma non dappertutto indistintamente.
Abbiamo realmente bisogno di valorizzare terroir, ma non soltanto in chiave puramente evocativa.
Mi piace sempre parlare del terroir perché, nella tradizione, come spieghi tu vi è anche la tradizione vitivinicola della zona e la mano umana: a volte, parlando della Valdadige, indico come i soci siano il terroir più importante (ovviamente mi occupo anche di clima) , ossia il terroir umano.
Finora nessun sommelier mi ha minacciata, direi va bene