Vi sono zone, vitigni, storie, produttori, territori che per qualsivoglia motivo si sentono emotivamente più vicini di altri. Un po' come un colpo di fulmine, che va via via rafforzandosi in considerazione della tradizione, del progetto, del carisma, del territorio, che crea legame forte.
È quello che provo ogni qualvolta mi avvicino ad un calice di Sangiovese di Romagna. Territorio vasto, variegato, dalle differenze territoriali evidenti, ricco di tradizioni. Da Imola al riminese, passando per tutte le sottozone, 16 nel totale. Un territorio oggi, dolorosamente, martoriato dai devastanti eventi climatici che hanno messo a dura prova la popolazione emiliano-romagnola. Che dunque oggi merita ancor più attenzione per un progetto viticolo globale di valorizzazione in atto, soprattutto in chiave Sangiovese.
Nei giorni scorsi ho avuto la fortuna di stappare una bottiglia che reputo di importante valore affettivo - ne conservo gelosamente un'altra della stessa annata. Si perché il millesimo di produzione in questione è la prima etichetta in assoluto della tipologia aziendale. Il vino a cui afferisco è Thea Rosso, al tempo (1997) Sangiovese di Romagna Superiore, oggi in commercio con menzione aggiuntiva Oriolo in etichetta.
L'azienda è Tre Monti, ha sede ad Imola, ma i suoi possedimenti si dividono in due macrozone, o meglio poderi separati. Il primo “Bergullo” circonda la base aziendale, sulle prime colline imolesi a circa 100 metri sul livello del mare, il secondo “Petrignone” - dove maturano le uve selezionate per “Thea” - sulle colline forlivesi: dove le radici affondano fra sabbia, argilla e ciottoli.
Il vino devo dire - salvo leggere note ossidative giustificate dal lungo tempo di riposo - era più che in forma, come deve essere un vino che si impegna a ricordare attraverso ogni stappo una figura di riferimento d'azienda - meglio dire di famiglia - in questo caso mamma Thea. Ciò che colpisce maggiormente è la vena sapida del sorso ancora nettamente percettibile. Bevibilità stupefacente dopo 26 anni di meritato riposo. Mi sento privilegiato nell'aver incontrato questa prima uscita dopo lungo tempo. Sia per aspetti qualitativi, che per legame affettivo con la sottozona Oriolo, che regala vini di spiccata identità. Tornando al calice:
granato dai lievi riflessi aranciati, in sottofondo una spezia delicata e in primo piano arancia sanguinella. Infine un accenno di marasca sotto spirito. E poi sale, sale e sale, che rende il sorso piacevolissimo.
Credo che il terroir del vigneto "Petrignone" abbia ruolo fondamentale per la salinità pronunciata di questo vino. E' un unicum all'interno del territorio di Oriolo. Tenendo conto inoltre che "la vendemmia 1997 in Romagna - tratto dalla carta della annate stilata da Giorgio Melandri, Francesco Bordini e Cristina Geminiani - è stata segnata da una lunga estate calda" il vino ha retto alla grande.
L'altra bottiglia di Thea 1997 la custodisco gelosamente. In attesa di un altro stappo che mi riporti in Romagna con un sorso. E che sorso.
In attesa di conoscere meglio - nel dettaglio - le nuove versioni, gioisco di questo incontro soddisfacente. Non può non farmi pensare quanto debba essere stata importante la signora Thea per la famiglia, per l'azienda, per la formazione dei figli. Prosit.
Per i più curiosi oggi Thea Rosso 2020 si può trovare facilmente online ad un prezzo attorno ai 20 euro. Qualcuno potrebbe anche chiedermi come sono arrivato in possesso di queste due chicche datate 1997: conoscenze romagnole, che conservo nel cuore da vero appassionato.
Amo sottolineare, per correttezza, come la descrizione di aziende e vini sia del tutto passionale, senza alcun tipo di ritorno per il sottoscritto. La passione, quella vera, spassionata - spero di qualità per chi legge - non ha prezzo. Soprattutto se si beve questo "Gran sorso di Romagna".
Ma come viene prodotto oggi Thea Rosso? Per questo vi rimando alla scheda aziendale del prodotto.
Michele Zomer
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