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UNICITA' E CORAGGIO. Lunga vita alle bollicine di Casa Caterina

Una chiacchierata sul percorso di Casa Caterina assieme ad Aurelio Del Bono, 59 anni, tante vendemmie alle spalle e tante ancora da portare a termine. Un vulcano per intraprendenza, coraggio e determinazione. Ma anche pioniere nel credere fermamente nel valore del suo terrior di riferimento. Rispetto dell’ambiente in primis per produrre prodotti unici: standardizzazione e globalizzazione del vino non sono cosa sua.

IL TERRIOR DI MONTICELLI

Non vi è dubbio che la zona di Monticelli Brusati assieme a Cellatica e Gussago sia fra le più rappresentative della Franciacorta, intesa come zona di produzione e non come disciplinare, ci tiene a sottolinearlo Aurelio Del Bono che assieme al fratello Emilio (in foto sopra, ndr) sono gli artefici del progetto Casa Caterina realtà artigianale - forgiata con il sostegno di papà Francesco - impegnata in particolar modo nella produzione di spumanti metodo champenois.

Siamo sui lembi di terra che abbracciano Rodengo Saiano, dove sorge l’Abbazia Olivetana di San Nicola eretta attorno al 1050 nei pressi della quale i monaci Cluniacensi - non a caso - scelsero di coltivare vite e frutteti, sviluppando agricoltura e canali di irrigazione. I monaci avevano dunque capito fin dall’antichità dove ottenere il miglior vino per le celebrazioni. “I religiosi - racconta Aurelio sorridendo - sapevano benissimo che da quei terreni avrebbero ottenuto vini di qualità”. Monticelli è zona pedemontana, non per niente il toponimo deriva da “monte”: da un lato le Prealpi bresciane delimitano il territorio dal bacino idrico del Lago d’Iseo mentre dall’altra segnano la superficie tutta una serie di dossi morenici. Questi ultimi plasmati da un ghiacciaio dell’era quaternaria e caratterizzati da rocce calcaree e componenti di origine franosa. “Questi terreni beneficiano di correnti d’aria fresca che discendono dalle pendici del Monte Guglielmo e dal Gruppo dell’Adamello creando escursioni termiche essenziali al fine di rallentare il ciclo linfatico della pianta. Inoltre la composizione argillo-calcarea dei suoli – spiega Aurelio - conferisce ai vini mineralità, carattere e complessità: terreni unici rispetto al resto della Franciacorta. Altre zone di nostra produzione sono ancora più ricche: terreni argillo-calcarei mischiati anche con limo e sabbia, una sorta di marna in grado di regalare assoluta finezza”.

IL PANORAMA VITIVINICOLO CHE STA CAMBIANDO Nei 14 ettari vitati aziendali vige il rispetto del territorio senza compromessi. Base fondante per la produzione di spumanti metodo classico sorretti da un’anima: “Ci sono terreni idonei per il frumento ed altri adatti per piantare la vite: non si può pensare di ottenere tutto in ogni dove. I nostri avi - tuona Aurelio - andavano a raccogliere il grano nelle zone di pianura – dove oggi dominano lunghe distese di viti - e a vendemmiare a Monticelli: il gioco è fatto, ce lo insegna la tradizione. Prima ero considerato l’eversivo, il dissidente, ora qualcuno ha deciso di seguirci: in molti conferivano le uve presso altre aziende oggi invece più di qualcuno si è convinto circa il reale valore del territorio e ha deciso vinificare le proprie uve. Questo sta a significare che qualcosa di buono è stato fatto e continuiamo a farlo, sempre con i piedi piantati nel territorio. L’unica cosa che ancora mi contestano sono le vigne troppo basse e i prezzi elevati: nel primo caso chiedo di giudicare dopo aver bevuto i nostri prodotti. Il prezzo invece è quello giusto: produciamo vini non per tutti i giorni, da associare a momenti particolari”.

IL VIAGGIO IN CHAMPAGNE TI CAMBIA LA VITA Il padre di Aurelio, Francesco, ha sempre coltivato i vigneti di proprietà e nel contempo operato nel commercio del vino. La vigna non bastava e dunque la vendita di partite di vino riusciva a

corrispondere un guadagno adeguato. Un lavoratore sobrio eretto da principi e valori: “Negli anni ’80 al termine del servizio militare un fortunato incontro con un grande appassionato del settore coincide con la possibilità di conoscere la regione della Champagne alla scoperta di un universo affascinante. Mio padre - racconta Aurelio – associava lo Champagne ad un mondo ricco di perdizioni e di situazioni adatte solo a persone di un certo rango, temeva che tutto ciò avrebbe potuto travolgermi”. Nel frattempo si assisteva nel bresciano ad un frequente abbandono dei campi da lavoro e quindi con i risparmi aziendali Aurelio e famiglia investivano in acquisto di terreni, sapientemente in ottica futura. “Decisi di seguire questa persona. Arrivati in Champagne facemmo tappa all’Abbazia di Saint-Pierre ad Hautvillers, dove tutto è nato per mano dell’abate Pierre Perignon. Li quasi incoscientemente e preso da folle gioia salii di corsa sulla collina circostante e non credetti ai miei occhi: vidi una distesa di vigneti senza confini. Solo vigneti, vigneti, vigneti. Ero accompagnato da una sensazione particolare che ancora oggi a pensarci mi tornano i brividi. Una sequenza di vigneti: poesia della vigna, un mondo a parte. In seguito alla vista di questo splendore sentii la necessità di capire subito cosa avrei potuto trovare nel calice. Arrivai nel primo locale e chiesi di poter sostare per uno spuntino: mi portarono dei cetrioli in agrodolce, lo ricordo come fosse ieri, e una bottiglia di Champagne. Preoccupato per il prezzo iniziai ad assaggiare questa bollicina peraltro risalente ad un millesimo datato: una favola. La bottiglia finì in fretta, la seconda anche: memorabile. Un approccio impressionante. Questo è stato solo l’inizio, di li in avanti la Champagne divenne il mio punto di riferimento. Durante questo viaggio mi parlavano di territori: Avize, Ambonnay, Ay. Vini in grado di rispecchiare un territorio. Non si può voler standardizzare un prodotto a tutti i costi, come spesso accade nei consorzi italiani. Il vino di Ambonnay non è quello prodotto ad Ay e nessuno in quel territorio ricerca questo. Ognuno vanta una sua unicità. Il gusto del prodotto non è la priorità, il rispetto di alcune regolamentazioni si. Tornai in Italia con un bagaglio importante fatto di sapere, testi, idee, confronto”.

FILOSOFIA E VIGNETO

Il primo impianto sviluppato al fine di produrre bollicine fu di Pinot Menueir perché mi era piaciuto davvero tanto: vitigno capace di regalare un vino fresco, che non tramonta mai, in grado di essere anche fine, elegante. La produzione di Champagne è nata nella Valleè de la Marne dove il Menueir trova grande adattamento: volevo ripartire dalle origini. Ma non tutto risultò semplice. Un vigneron di lungo corso mi ricordava spesso che per arrivare a certi risultati occorrevano almeno dieci anni: parole non facili da accettare, ma caparbietà, voglia di arrivare e determinazione hanno fatto la differenza. Nei miei soggiorni in Francia ho deciso anche la filosofia produttiva che avrei seguito: predilezione per uno stile ossidativo rispetto a Champagne freschi, meno complessi e poco interessanti. Ho capito che un vino invecchiato con stile ossidativo può regalare grandi emozioni, quello che ricerco ogni giorno con le bollicine di Casa Caterina”. Le sue vigne - assolutamente da vedere - non raggiungono più di 60cm da terra, con densità d’impianto che raggiungono 10mila, in alcuni appezzamenti 12mila ceppi ettaro: “Non riusciamo a produrre più di mezzo litro di vino per pianta. Qualcuno, anche qualche agronomo, sostiene che le nostre idee sono controcorrente. Finché riuscirò a produrre vini di questo tipo, intendo fermamente fidarmi di ciò che ho sviluppato sul campo.” Lavoro in vigna nel massimo rispetto della natura: “Mentre sto potando e sono al telefono con te mi hanno appena portato 3mila quintali di letame biologico, non scarti di falegnameria o prodotti sintetici. Non forziamo la produzione delle piante: diserbante? Non sappiamo nemmeno cosa sia. Innovazione? La vera innovazione sta nella meccanizzazione. C’è bisogno di un netto ritorno alle origini.” Anche in cantina è tutto racchiuso nei dettagli: “Utilizziamo soltanto lieviti indigeni e per la rifermentazione vengono riattivati i lieviti indigeni della prima fermentazione". Un lavoro che richiede massima attenzione: "I nostri sono spumanti non dosati e senza solfiti aggiunti. La sboccatura è soltanto manuale “alla voleè”.

IL VINO COME POESIA

Il risultato del lavoro in vigna dei fratelli Del Bono deve portare ad un vino che sia poesia. Un racconto con versi dettati dal rispetto della terra, strofe che rappresentino l’insieme di sacrificio e caparbietà, rime che siano il risultato di ciò che regala l’annata, con massima distinzione. Il titolo della poesia grazie a tutto ciò può essere scelto da chi gode dell’esperienza sensoriale. La poesia però non deve essere scalfita da un mondo troppo digitale: “Tutto il nostro lavoro è arte. Troppo spesso leggo racconti distorti ed eccessi in chiave social-marketing. Credo che la vera promozione commerciale sia lasciare la parola ai nostri clienti. Loro fanno il vero marketing. Dentro la bottiglia vi è una ricchezza chiamata viticoltore. Non tutti gli anni il vino è uguale: non deve esserlo. Qualche annata è media, qualche altra arriva al top, altre non ci sono proprio: questo è il bello, la standardizzazione di un prodotto è assolutamente fuori dalle nostre logiche”.

LE GRANDI ANNATE Assieme ad Aurelio abbiamo tracciato un bilancio delle migliori annate in Franciacorta. Su queste il vignaiolo bresciano non ha avuto esitazioni di alcun tipo. Le vendemmie 1989-1990-1994-2007-2009 e 2010 finora sono state davvero straordinarie. Con questo però non dobbiamo dimenticare ciò che è avvenuto al di fuori delle annate speciali”. E qui Aurelio ricorda con emozione uno scambio di opinioni avvenuto in passato con un grande vignaiolo delle Langhe, fra gli interpreti straordinari del mondo del vino italiano: “Ogni anno risuonano nella mia mente le sue parole. Mi aveva detto di ricordarmi che nelle annate peggiori, le più difficili, spesso si nascondono le sorprese migliori. Sono le parole di un maestro, di chi ha conosciuto davvero la terra, il sacrificio”.

DES BULLES ET UN VIN A LA BOURGOGNE La chiacchierata si chiude con un accenno sui vini di riferimento di Casa Caterina: “La nostra Cuvée 60 a base Chardonnay è il nostro cavallo di battaglia. Siamo orgogliosi di questo ottimo risultato. Uno dei nostri obiettivi è continuare a valorizzare maggiormente i Pinot. I nuovi impianti saranno sicuramente realizzati in quest’ottica. Un punto fermo della nostra produzione sono i metodi classici rosati: sono convinto che siano una tipologia di prodotto eccezionale e meritino sempre maggiore attenzione”. L’azienda bresciana fondata nel 1987 è contraddistinta di innata linfa vitale e progettualità: “Abbiamo appena realizzato una vigna di Pinot Nero mediante l’utilizzo di un clone di alta qualità su terreni argillo-calcarei. Vogliamo realizzare un vino stile Borgogna da bere non prima di dieci anni. Sono sicuro ne uscirà un chicca di assoluto valore”.

CUVÉE BRUT NATURE 60 2014 (Chardonnay 100%) Per chiudere questa chiacchierata senza filtri avevo in fresca una magnifica Cuvée 60 Brut Nature che avevo il piacere di raccontare, così.

L’annata 2014 non è stata assolutamente delle migliori per il distretto della Franciacorta, come del resto per gran parte della penisola: le difficili condizioni meteo che hanno accompagnato i mesi estivi hanno rallentato il processo di maturazione e si resa dunque necessaria una accurata selezione dei grappoli, compromessi in parte da una stato fitosanitario precario. Nonostante ciò posso affermare che la Cuvée Brut Nature 60 (2014) è un inno a garbo e raffinatezza. Una trama di bollicine finissime solca la tinta gialla dorata, brillante. Una delle peculiarità che voglio sottolineare è la qualità delle bollicine: mai invasive, allo stesso tempo incisive. Al sorso spicca per cremosità: non è facile trovare un metodo classico italiano con approccio simile. Mi ha ricordato per per caratteristiche qualitative l’Ambonnay Grand Cru (2010) di Andre Beaufort. Al naso è emerso un bouquet delicato, composto: miele millefiori, un leggero sentore di agrume candito, mela golden nel pieno della maturità. Non da meno il profilo floreale che fa da contro altare alla spiccata nota minerale. Al sorso, in piena linea di continuità, è sottile, elegante, fine. Ma anche corredato da grande salinità: qui il terrior di Monticelli fa davvero la differenza. Nulla è fuori posto. Nel finale grande pulizia di bocca. Chiude questa splendida bevuta un ricordo di mosto d’uva fresco, quasi ad attestare tutto il processo nel rispetto dei dettami naturali. Chapeau Aurelio. Chapeau.


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